Mille ore, mille cose, mille pensieri.

Se il post Vecchia capera che non sono altro era un post inutile, questo invece è utile.

Utile per me, sia ben chiaro.

Questo è per me il post delle mille cose, dei mille pensieri e delle mille ore da perdere. Procediamo per gradi cominciando proprio dalle mille ore.

In realtà ne sono dieci. Dieci lunghe ore vuote da riempire. Come si fa ad avere dieci ore di debito con la vita? Niente di più semplice! Contattate un’agenzia di viaggio italiana e fatevi prenotare un viaggio aereo. Se vi va di culo riuscirete ad arrivare dritti dritti a destinazione. Se invece loro leggono in voi lo spirito d’avventura, capiterete come me, e vi ritroverete tra le mani un biglietto aereo sbagliato. Si, cari miei, proprio così. L’agenzia di viaggi mi ha prenotato un volo Roma – Shanghai invece di Roma – Pechino. Quando ho fatto notare l’errore loro mi hanno giustamente detto che “tanto sempre Cina è” e con molta generosità mi hanno proposto il rimborso di cento euro… che avrei dovuto utilizzare per prenotare un treno lungo 14 ore che da Shanghai mi avrebbe portato a Pechino. Non giudicatemi antipatico o puntiglioso, ma la loro gentile concessione non è stata proprio gradita dal sottoscritto.

Mi ritrovo, dunque, a Mosca, con un volo di fortuna cambiato all’ultimo momento dai geni del turismo italiano, e con dieci ore di buca tra un aereo e l’altro.

 

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A Mosca sto morendo di caldo e sinceramente ciò non mi sorprende. Sono un tipo abituato a tutto, ho visto cose che voi umani nemmeno potete immaginare (tipo l’agenzia di viaggi di sopra che confonde Pechino con Shanghai). Però mi sono subito oraganizzato e ho portato con me un libro che giace sugli scaffali della mia libreria da quando avevo l’età di 14 anni: credo che solo ora sia arrivato il momento di leggere Il Signore degli Anelli.

Ho fatto un giretto per i negozietti Duty free, cosa che non ho mai fatto prima d’ora, e mi sono regalato una bella bottiglia di buona vodka russa vera, originale, bionda e alta due metri.

E la cosa più bella è questo tablet Asus Transformer che magicamente è diventato un computerino tra le mie mani. E lo sto utilizzando fuori sede, per scrivere un articolo come se fossi un vero blogger.

I mille pensieri invece sono più di mille, ma non sono proprio pensieri. Direi più riflessioni, osservazioni. Perchè se in dieci ore invece di osservare ti alieni, con le cuffiette nelle orecchie, davvero le sprechi in malo modo.

Mi sta piacendo osservare i viaggiatori. In particolare gli stranieri. Sono sempre più affascinanti di noi italiani che cerchiamo sempre di rimanere composti e conformi a non so quali regole (ho detto “cerchiamo” non “riusciamo”). Gli stranieri si buttano a terra, si lavano i piedi nei lavandini dei cessi, bevono caffè lunghi, enormi, lasciano i bambini rotolarsi a terra, ti chiedono perchè nell’aeroporto Sheremetyevo non ci sono sale fumatori e si fanno selfie imbarazzanti senza alcuna vergogna. Io vorrei tanto essere straniero, ma purtroppo sono italiano, e il mio selfie è mal riuscito.

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I viaggiatori fumano tutti due sigarette, una dietro l’altra, convinti di fare la scorta di nicotina. I viaggiatori parlano sempre tra loro, sono una famiglia che dura il tempo del viaggio soltanto, ma è una famiglia che subito ti ispira fiducia. I viaggiatori sembrano tutti spensierati, allegri e in attesa di “questo maledetto aereo”, ma io no ci credo. Non ci credo che partono e non pensano a quello che lasciano e non pensano a quello che troveranno. Non ci credo che hanno tutta la situazione sotto controllo. Uno che ha la situazione sotto controllo, ha anche un suolo sotto i piedi, un tetto sulla testa e una famiglia “fissa”. Il viaggiatore non ha suolo, non ha tetto, non ha famiglia. O forse il viaggiatore ha mille suoli, mille tetti e la famiglia wireless. Free, ovviamente.

Le mille cose, invece, sono quelle che volere o volare mi seguono sempre e che puntualmente mi riprometto di diminuire. Si dice che il buon viaggiatore si riconosce da un bagaglio piccolo. I miei bagagli sono minuscoli, ma le cianfrusaglie che mi trascino per il mondo sono davvero troppe.

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Vi terrò aggiornato dalla Cina, non appena nuovamente sconfiggerò la censura, e farò tante foto che tante persone mi hanno chiesto.

Per concludere voglio fare un monito all’italiano medio e, ahimè, alle agenzie di viaggio italiane e medie: Shanghai non è Pechino; Pechino non è Tokio, la Cina non è il Giappone.

Vecchia capera che non sono altro

Heinstein diceva che esistono 10 tipi di persone: quelle che conoscono il codice binario e quelle che non lo conoscono. E su questo siamo tutti d’accordo. Per quanto riguarda le cose, invece, io dico che i tipi sono due: cose utili e cose inutili. Questo è un post inutile.

Inutile perchè non dà informazioni, non è una guida;

inutile perchè non dà istruzioni, non è un manuale;

inutile perchè non è piacevole alla lettura, non si legge per diletto.

Eppure devo dire che le esperienze degli altri mi sono servite. Attraverso gli altri ho capito prima quello che poteva accadere a me. Se chi si fa i fatti propri campa cent’anni, chi si fa i fatti degli altri non muore mai. Umberto Eco ha detto: chi non legge vive una sola vita, la propria.
Allora, miei cari lettori, voglio regalarvi un altra vita e che sia eterna.

Vi invito a leggere questo post inutile che parla dei fatti miei.

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Ho imparato a impicciarmi dei fatti degli altri in Cina, il paese degli impiccioni. A Pechino, la città più estesa del mondo e una delle più popolate, la gente è pettegola come quella dei paesini. Come se 20 milioni di abitanti non fossero nulla. Se andrete mai in Cina, e masticate un pò di inglese o di cinese, preparatevi a parlare tanto di voi, i cinesi sono molto interessati e attratti dalle vite degli occidentali. Ma soprattutto preparatevi a una valanga di domande indiscrete del tipo: che lavoro fai? Quanto guadagni? E i tuoi genitori? Guadagnano tanto? Quella è la tua ragazza? Da quanto state insieme? E prima con chi stavi?

I cinesi sono come gli Hobbit: curiosi, pettegoli, minuscoli. Tra l’altro vivono nella terra di mezzo! (中国 = Cina. 中 = centro; 国 = Paese). Hanno un concetto di vita privata diverso dal nostro, o forse non ce l’hanno proprio, retaggio di un passato comunista che passato non è. Si sputtanano a vicenda, è come se non avessero segreti. Vanno al bagno insieme, fanno la doccia insieme. Non fanno mai coppia, o meglio, è più facile trovarli in compagnia che non soli con la propria dolce metà. E si esaltano se vedono qualcuno baciarsi. Oh come si esaltano per le storie e gli intrighi d’amore. Dai loro qualcosa di cui parlare e sparlare. Fai la loro felicità. Se gli fai notare che non hanno minimamente il concetto di privacy ti rispondono: “Un domani sarò sposato e vivrò solo con mia moglie e con mio figlio, avrò una vita di privacy; adesso è necessario stare insieme agli altri perchè il mondo è fatto da tante persone e non solo da te.”

Concetto che fila liscio come l’olio. Ma che palle!

Dato che in ogni posto in cui vado a me non piace fare il turista ma l’indigeno, ho preso subito la strada della cinesizzazione e tra i tanti usi e costumi presi c’è quello di impicciarsi dei fatti degli altri.

Io so perchè Zhou Ge è gobbo, sò perchè Bing Shi non è uscito per una settimana, so dove lavora Jia Ming e quanto guadagna. Conosco davvero tante vite diverse dalla mia e nonostante tutto non mi sento un pettegolo. Il segreto sta non nel cercare il gossip, ma nel cercare l’esperienza. Non mi interessa godere o dispiacermi dell’espulsione di Yang dal Partito, mi interessa sapere come lui si sente, e farne tesoro… magari scriverci qualcosa.

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Ho scritto questo post per introdurvi altri post sulla Cina e sulle impressioni che mi ha suscitato. Non pretendo di destare il vostro interesse, ma foste stati voi a scrivere qualcosa sul Burundi, l’avrei letta con avido interesse.

I tempi migliori in Cina stanno arrivando, credete a me, non agli americani.

My London #3 – Appena arrivati – pt.2 – Sim card, Internet e Oyster card.

Avete qualcuno che vi ospita? O avete trovato un ostello? Si può fare comodamente dall’Italia. Poco importa: avete subito bisogno di una vostra casa, ma prima di mettersi a caccia di tetti e letti ci sono delle cose fondamentali da fare:

1. procurarsi una Sim card. Il tutto vi sembrerà estremamente facile. Ed effettivamente lo è. Non cercate degli store o dei centri assistenza – quelli solo le compagnie più grandi li hanno (Vodafone, O2, T-Mobile) – ma semplicemente recatevi in un qualsiasi negozio off license (di quelli che vendono di tutto, dagli alimentari ai giornali alle cose per la casa) e chiedete una sim card.

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Solitamente è gratis oppure costa intorno ai 2 pounds massimo. Insieme alla scheda vi fate anche una bella ricarica, la inserite nel cellulare nuovo (acquistabile a 20 pounds nello stesso offlicense) e il gioco è fatto. Il numero è attivo senza alcuna attesa o registrazione o altro. Avete fatto un piccolo passo verso la britannizzazione.

2. Procurarsi una connessione a internet. Cercate dei bar con la scritta “Free Wi-Fi“, prendetevi un bel caffè americano – caldissimo, lunghissimo, acquoso – e seguite le procedure di registrazione. Gli stessi hotspot li troverete in giro per la città. Londra è piena di Hotspot Wi-Fi, free e non, ed è piena di posti che offrono internet aggratis. Io andavo sempre da Starbuck’s, ma ce ne sono a bizeffe. Anche nelle stazioni della metro potrete vilmente scroccare!

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La connessione a internet, che all’inizio potrà sembrare un’enorme privazione o un enorme privilegio quando c’è, in seguito non vi preoccuperà più. Il tempo di crearvi il vostro giro e comincerete ad avere passwords di ogni hotspot cittadino, e risulterete iscritti a qualsiasi rete Wi-Fi pubblica di ogni Starbuck’s, Mc Donald, Costa, Subway e quantaltro.
La rete è fondamentale per la ricerca della casa e per la fruizione di altre informazioni (che potrete attingere e custodire gelosamente da questo bel sito qua).

3. Procurarsi tutto ciò che vi servirà per la ricerca della casa e la ricerca del lavoro. Il numero inglese c’è, internet pure. Il vostro principale problema da risolvere è l’armotizzazione delle spese per i transporti. La risposta a tale problema si chiama Oyster card.

Di questo gioiellino parlerò in un post dedicato Ora vi accenno giusto qualcosina. La Oyster card è quanto di più futuristico abbia mai visto al mondo, ed è stata la cosa che più mi ha fatto capire quanto stiamo indietro in Italia. Ed è la cosa che più mostra l’incredibilmente perfetta organizzazione della società inglese.

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E’ lo specchio della società inglese!
Si tratta di una tessera magnetica, o magica, che vi permette di prendere ogni treno, bus o transporto metropolitano che volete. Tutto questo previo un abbonamente o una ricarica Pay as you go. Cosa significa Pay as you go? Significa, semplicemente: ricarica. Come ai cellulari. Metti i soldi e te li scala quando li usi.
E’ possibile fare la Oyster in qualsiasi centro informazioni di qualsiasi stazione. Pagate un 5 pounds di cauzione (che vi sarà restituita quando restituirete la carta), e ricaricate di qualche pound. Col tempo imparerete a usare le macchinette automatiche. E soprattutto col tempo imparerete i costi di ogni servizio. Nel frattempo vi tocca solo attendere un mio prossimo post dedicato ai transporti, che arriverà.

Dio se arriverà.

My London #1 – Prima di partire

Tutti a Londra! Cervelli in fuga, neolaureati disoccupati, nullafacenti italiani che vogliono cavalcare la via del successo e chi più ne ha più ne metta! La capitale inglese sembra ormai diventata una meta sputtanata (non lo era forse anche il Grand Tour per gli inglesi del XVII secolo?). Ma non voglio stare qui a sindacare. Io stesso mi trovo a Londra in questo momento, a farmi il culo, e a raccontarlo a voi.

Conoscendo gente di qua e di là ho notato come i motivi che spingono i giovani a scegliere di partire per l’Inghilterra, restano per la maggior parte gli stessi, comuni a tutti i ragazzi d’Europa. Sembra un’audizione dove la risposta non è “… e il mio sogno è diventare un’attrice.”, ma:

– Sono a Londra per imparare l’inglese.
– Sono a Londra perchè c’è lavoro e pagano tanto.
– Sono a Londra per fare un’esperienza.
– Sono a Londra perchè la Spagna/Italia/Grecia/Portogallo/Ungheria ecc. è una merda.
Molte volte queste possono costituire anche un’unica risposta.

 

Ebbene, balde giovani Marmotte, pronti a partire? Io credevo di esserlo. Magari voi siete più “tagliati” di me, e siete già ben preparati. Tuttavia due parole about that voglio spenderle.

LONDON DREAMING

Non mi ricordo il nome dell'artista

Avrete di sicuro su facebook qualche amico che vive a Londra – quello stronzo che pubblica foto della bella vita, dinamiche, con soggetti puttane e champagne -. E avrete senza dubbio confrontato le vostre foto – fatte di gattini, e serate da bar – con le suddette londinesi. E’ inevitabile avere la voglia di partire. State in guardia però: l’amico vostro sicuramente vive a Londra da un bel pò di mesi, magari anche qualche annetto.

 

All’inizio Londra è difficile.

 

Ci si trova di fronte a un altro stile di vita, frenetico, veloce, estremamente preciso, lontano dall’Eden italiano (si fidatevi, in Italia stiamo molto più tranquilli). Bisogna aggiungere che il tutto è molto più costoso rispetto all’Italia. Consiglierei di partire con una cifra di 1000-1500 Euro (più 1500 che 1000!). All’inizio ci saranno diverse spese da affrontare (ostello, transporti, caparra d’affitto, coperte, cibo).
Gli orari sono differenti. Si comincia a lavorare per le 9 – 10, alle 13 qui c’è vita. Niente strade tranquille! Niente odore di sugo proveniente dalle finestre delle case. All’una si procede normalmente con la vita. Vi sembra una cazzata questa? Allora voi che state in Italia provate a fissare un appuntamento con un ufficio, o semplicemente un amico, all’una meno dieci, quando lo sbattere di padelle diventa l’inno della nostra nazione. Tutto però finisce intorno alle 18 – 19. I negozi chiudono, i pub aprono e via! Si cena, si esce, ci si sbronza se domani si ha il giorno libero, o si rientra a casa. A mezzanotte cominciano a chiudere anche i pub e più o meno si va tutti a dormire. Ovvio che ognuno ha i propri orari, ma di base, qui a Londra funziona così.
Preparatevi ad affrontare lunghe distanze e a calcolare i minuti per non fare ritardo. Ogni volta che bisogna spostarsi, per fare la spesa, per far visita a un amico, per uscire, per andare in un altro quartiere, bisogna intraprendere un viaggio. Londra è enorme. Passerete ore in metropolitana senza rendervi conto di aver percorso chilometri e chilometri, ma tanti! Potreste arrivare a percorrere 40 chilometri per bere una birra con quella tipa dell’altra sera.
Per quanto riguarda casa e lavoro preparatevi a essere veloci: siamo davvero tanti avventurieri qui, c’è concorrenza per trovare il lavoro, tanta concorrenza. E concorrenza per trovare una stanza. Credetemi, vanno via nel giro di pochi minuti. Anyway, penso anche che sia impossibile non trovare una casa e un lavoro a Londra. Bisogna essere determinati.Preparatevi a case piene di coinquilini internazionali, che vanno e vengono, che non conoscerete mai troppo bene, o che conoscerete dopo due settimane di convivenza. Preparatevi a una vita senza bidet, case di legno, bagni senza prese di corrente. E soprattutto portate con voi:

– scolapasta;
– caffettiera;
– adattatore per la presa della corrente. Qui costa di base 6-7 pounds, si trovano a 1 pound a Poundland (di cui parleremo in seguito), ma portarne qualcuna dall’Italia, se ciò risultasse più conveniente, non sarebbe una cattiva idea.
Prima di partire c’è stato chi mi ha detto: “Figo vai a farti i soldi a Londra.”, e chi mi ha detto: “Anche tu vai a sprecare un pò di soldi a Londra?” Fatevi un lungo esame di coscienza e se siete pronti preparate la valigia! Io vi aspetto nel prossimo post, dove dovreste già essere nella City.

Ah… dimenticavo! Qui fa freddo e piove sempre.

Spirito d’adattamento mode: on

Tower Bridge

Se qualcuno mi avesse detto: – Tu farai il cuoco -, non ci avrei mai creduto. Da piccolo uno dei miei sogni era fare il cuoco, ma quale essere umano sogna con la consapevolezza che i suoi sogni vengano davvero realizzati? Pochi! Se così fosse, se tutte le ambizioni della mia infanzia prendessero vita allora in futuro sarò anche un poeta, un punk e un pirata.
Conto le bruciature e i tagli sulle mie mani; conto le incazzature, date e avute, sul lavoro; conto le ore di sonno perse e le ore di vita buttate in quella stretta e calda cucina e capisco che fare il cuoco era solo la brutta copia di un’ambizione.
Tutto ciò sta accadendo a Londra, capitale di mezzo mondo, il paese dei balocchi, dove puoi provare a fare tutto quello che è nelle tue capacità. Qui ancora non riesco a capire cos’è che voglio, ma sto capendo cosa non voglio – che è già una grande cosa.
London ti cambia, radicalmente, mentalmente e fisicamente. E ti deruba. Tre mesi fa portai con me la mia bella pancia da birraiolo incallito: l’Inghilterra se l’è fregata, lasciandomi giusto qualche costoletta in evidenza. Mi hanno fregato anche la barba, si, perchè qui non ci sono prese elettriche nei bagni e, vista l’impossibilità di radermi con il rasoio elettrico, utilizzo la buon vecchia lametta usa e getta, che usi e non getti più, con la quale o tagli tutto o non tagli niente. Via tutto dunque.
Londra ha violato il mio sonno, il mio portafogli e la mia innocenza. Dopo due settimane qui, già ero diventato adulto. Dopo solo due settimane sono stato capace di utilizzare fluentemente l’inglese per: incazzarmi, litigare, affermare il mio punto di vista, gestire la mia vita professionale. E intanto il camice da cuoco mi andava sempre più grande, afflosciato sulla mia magra figura, con le maniche girate e rigirate per non sembrare Cucciolo dei sette nani. La vera sorpresa è stata nel vedere i capelli crescere sempre di più e, allo stesso tempo, la misura del cappellino da cucina diminuire di un numeretto ogni settimana. Londra mi ha fatto dimagrire anche la testa.
Ci sono però cose che non cambiano mai, quelle cose che, volere o volare, costruisci attorno a te per avere quella primordiale sensazione di “casa”. Sto parlando del negozio di fiducia, il tabaccaio di fiducia, il giornalaio di fiducia (tutto questo è identificato in un solo negozio off license che io amo definire “emporio”). La strada, anzi, le infinite strade che ti riportano ogni volta a casa; quelle stesse strade che ti fanno sentire parte di un quartiere, di una comunità. Le palline da giocoliere acquistate a Camden Town; la pasta fatta con i pomodori finti che crescono sotto il cocente sole britannico; la caffettiera che brucia quel poco di caffè che esce.
E poi l’ultima cosa, la costante: ogni volta che mi trasferisco in un’altra città, purtroppo o menomale, mi ritrovo sempre ad abitare vicino allo stadio. Certo, c’è differenza tra l’ Adriatico di Pescara e lo Stadio Olimpico di Stratford ma il succo resta lo stesso: ovunque io vada riesco sempre a identificare attorno a me quelli elementi che mi danno la sensazione di “casa”. E me ne compiaccio.