Le passeggiate solitarie per le vie della città sono momenti di confessione con se stessi, di pensieri e sogni sotto voce nel trambusto metropolitano. Vetrine di negozi addobbate a festa, canti natalizi per le strade, persone affollate attorno a una bancarella, o al bancone di un bar.
Ragazze. Tante, giovani ragazze tra abiti femminili. Pose allo specchio e mormorii di giudizio. Scambi di sguardi con le amiche, qualche smorfia e infine l’approvazione che arriva insieme al pentimento.
Maschietti seduti dove si provano le scarpe, col cellulare in mano giocando a tagliare la frutta con le loro dita delicate, in atroce attesa delle fidanzatine, incerte sulla scelta di una maglia, che non è gialla, ma ocra. Tra una mela e un ananas bisogna dire “si, ti sta molto bene addosso”, mentre si pensa “stai meglio senza”. Altri maschietti al tabacchino, altri ancora attorno al bigliardino illuminato di corso Umberto. Ci sono anche uomini in abito elegante, trentenni con la ventiquattrore, yuppies senza fascino e padri di famiglia che acquistano cucine giocattolo e maglioncini per il cane.
Io serpeggio tra la fauna urbana senza dare nell’occhio, fermandomi ad ascoltare gli artisti per strada e guardando ogni singola bancarella. Se c’è qualcuno che cammina col mio stesso passo, fianco a fianco, mi fermo di fronte a una vetrina qualsiasi, per dargli modo di proseguire da solo, senza di me.
Passo davanti a un tabaccaio ed entro dentro. Resto molto tempo ad osservare le pipe, i taglia sigari, le fiches per il poker e le penne stilografiche. Poi compro le Galatine al latte ed entra lei. Entra al rallenty – i capelli voluminosi molleggiano piano a ogni suo passo, la musica pare non ci sia più e se non sbaglio non sento più puzza di tabacco e biglietti per il pullman. Piuttosto un odore di fragola e zucchero filato. Quello rosa. Lei cammina e gli altri si spostano. Non sorride ma non ha bisogno farlo. Non guarda ma tutti guardano lei. Sistemo piano piano i soldi nel portafoglio, le caramelle, una ad una, nella tasca. Quando lei compra le sue Marlboro gold (i maschi e le racchie le chiamano Marlboro light) io esco fuori. Apro, esco, chiudo e lei dentro, il vetro della porta ad un palmo dal suo naso. Mi perdo nei suoi occhi, grandi, grandissimi, sorrido e mi scuso con un gesto. Entro, chiudo la porta e le dico che sono mortificato. Riapro la porta e con un inchino la invito ad uscire prima di me. Mi guarda, sorride tantissimo e mi dice:
-Ma chi shti ffà?
Il vetro della porta crolla, la mia mano sanguina, lei diventa una brutta strega dai denti gialli per troppe sigarette. Cattiva, cattivissima. Penso a quella che era la mia principessa fino a pochi secondi prima, poi guardo l’orologio credendo che fosse già mezzanotte e che l’incantesimo fosse finito. Esco dietro di lei che ora sussurra alle amiche:
-La vist a cussù?
Io scappo veloce e nella fuga perdo una scarpa. Penso di tornare indietro a riprenderla ma la paura è troppa. Allora continuo a correre e quando sono sul ponte butto via anche l’altra.
Poi appena arrivo a casa indosso due tre paia di calze fino ad arrivare a portare il 45. Casomai tornasse a cercarmi glielo dico che non porto più il 43.